Da diversi anni girava voce che l’arresto di Matteo Messina Denaro fosse ormai vicino. Salvatore Baiardo, pentito di mafia, solo qualche mese fa, il 5 novembre 2022, ai microfoni della trasmissione di La7 Non è l’Arena, dichiarava: «Magari presumiamo che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per fare un arresto clamoroso?». Baiardo, che aveva gestito la latitanza dei fratelli Graviano aveva parlato anche di «regalino al nuovo governo» guidato da Giorgia Meloni: «Sarebbe un fiore all’occhiello per il nuovo esecutivo».
Quel giorno è arrivato: lunedì 16 gennaio 2023 è stato arrestato a Palermo il capo di Cosa Nostra, latitante dal 1993. Messina Denaro si trovava in ospedale, la clinica privata “La Maddalena”, per un ricovero programmato in seguito a un’operazione subita un anno fa. Il capomafia di Castelvetrano risulta infatti malato da tempo per un tumore al colon e si sarebbe sottoposto a dei cicli di chemioterapia. Sotto il falso nome Andrea Bonafede, Messina Denaro è stato bloccato dalle forze dell’ordine, provando senza successo a fuggire e confermando infine la sua reale identità. Insieme a lui è stato arrestato l’uomo che lo aveva accompagnato in ospedale, Giovanni Luppino, accusato di favoreggiamento. E così, la storica ricostruzione del suo volto basata su una vecchia foto, che lo ritraeva con le lenti da sole, è stata sostituita da quelle dell’arresto, con gli occhiali da vista e il viso invecchiato.
Messina Denaro non è solo l’ultimo latitante di Cosa nostra: è soprattutto l’unico boss rimasto in libertà che conosce i segreti delle stragi. Da Riina ai fratelli Graviano, passando per Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e poi anche Bernardo Provenzano, tutti gli uomini della piovra che hanno attraversato quel biennio di terrore sono finiti, in un modo o nell’altro, in gabbia. Tutti tranne uno: lui. inafferrabile, imprendibile, a tratti persino evanescente. Ma adesso la caccia è terminata. Quello del boss di Castelvetrano è il terzo nome di peso di Cosa Nostra catturato dopo Totò Riina e Bernardo Provenzano, che ha chiuso certamente un’era aprendo però una serie di riflessioni. Immediatamente dopo l’arresto di Messina Denaro, è cominciata la solita retorica della «vittoria dello Stato»nei commenti istituzionali: «È una grande vittoria dello Stato, che dimostra di non arrendersi di fronte alla mafia», esulta la premier Giorgia Meloni.
Certo, l’arresto di un latitante come Messina Denaro non può che essere accolto positivamente, ma la sua latitanza è durata trent’anni, garantita da una vasta rete di protezione e ovvie connivenze. Era ricercato dal 1993 Matteo Messina Denaro, eppure è stato arrestato nella sua Sicilia a pochi chilometri dalla sua Castelvetrano. Il suo arresto arriva adesso, a trent’anni e un giorno da quello di Riina, quando è gravemente malato e appare poco probabile che possa fornire un contributo alle indagini. Sembra dunque un’operazione perlopiù simbolica, visto che una morte da latitante non sarebbe stata proprio il migliore spot per lo Stato.
Oltre alle ovvie e prevedibili esultanze, c’è una parte di Paese che si sta facendo delle domande sulle tempistiche di questo arresto: perché è arrivato dopo trent’anni, mentre Messina Denaro continuava a muoversi in Sicilia, e perché proprio adesso? Di quali protezioni ha goduto? «Oggi tutti parlando di grande vittoria dello Stato, ma io credo che la grande vittoria dello Stato si avrà, veramente, quando si farà luce su due aspetti della storia criminale di Matteo Messina Denaro: il primo aspetto è quello delle sue conoscenze in merito ai moventi e i possibili ulteriori mandanti delle stragi del ’92 e del ’93, di cui è stato protagonista; il secondo aspetto è quello relativo a una latitanza di 30 anni che è stata troppo lunga per poter essere una latitanza normale. Sicuramente sarà stata, almeno in certi frangenti e da certi ambienti, protetta dall’alto», ha detto a Sky TG24 il magistrato Nino Di Matteo, membro del Csm e già sostituto procuratore a Palermo e Caltanissetta.
Niente da dire sulla buona fede delle forze dell’ordine che hanno svolto un’operazione rischiosa portata avanti da un nuovo gruppo di poliziotti scelti, guidato dal capo dell’Anticrimine Francesco Messina, dai carabinieri del Ros di Pasquale Angelosanto, dalle squadre mobili di Palermo e Trapani, dai comandi provinciali dell’Arma. E poi i servizi segreti, che hanno fissato sulla sua testa una taglia da tre milioni di euro, la procura di Palermo e quella nazionale Antimafia.
Ma non è una vittoria dello Stato, scontatissima frase utilizzata da chiunque in queste ore, perché l’arresto di Matteo Messina Denaro dopo trent’anni di latitanza risulta tardivo. La mafia non è affatto sconfitta, ma si è evoluta e adattata ai cambiamenti del mondo contemporaneo, nascondendosi e spesso camuffandosi da legalità.