Alla scadenza manca ancora qualche mese ma se ne parla già da un po’. E il fatto che il suo ministro Roberto Cingolani è entrato nel consiglio dei direttori del Fondo innovazione dell’Alleanza atlantica ha riattivato i rumors: Mario Draghi gode di ottime chances per diventare il prossimo segretario generale della Nato, prendendo il posto di Jens Stoltenberg, il cui mandato finirà nel settembre 2023. L’avvicendamento alla carica di alto rappresentante diplomatico dell’Alleanza Atlantica ci sarebbe dovuto essere già quest’anno ma lo scoppio della guerra in Ucraina ha reso necessaria una sospensione e il parallelo prolungamento in extremis della reggenza dell’ex premier norvegese.
Già un italiano è entrato nel consiglio dei direttori del Fondo innovazione dell’Alleanza atlantica. Lanciato dopo un vertice a Madrid nel 2022, il Fondo dovrebbe essere pienamente operativo dal prossimo luglio e ha il compito di investire un miliardo di euro per contribuire alla crescita delle società innovative che operano nel campo dell’intelligenza artificiale, della robotica, della cybersecurity e dello spazio. L’obiettivo sarebbe allontanare le giovani aziende dalle sirene cinesi e da tutto ciò che sia fuori dal recinto della Nato, investendo in settori strategici. Le guerre del futuro, infatti, saranno decise soprattutto in base alla preparazione in campo tecnologico dei Paesi membri dell’Alleanza atlantica. Roberto Cingolani è stato dunque nominato direttore, nonché membro del consiglio di amministrazione. L’ex ministro della Transizione Ecologica ha detto che il Fondo innovazione «stimolerà l’esplorazione e lo sviluppo di nuove tecnologie per la sicurezza dei Paesi della Nato».
Roberto Cingolani è, sotto certi aspetti, la continuità tra i governi Draghi e Meloni, in particolare per quanto riguarda l’atlantismo. E chissà se, a questo punto, chi guidava l’esecutivo di cui Cingolani era ministro possa diventare segretario generale della Nato. Il chiaro riferimento è a Mario Draghi. L’incarico attualmente ricoperto nell’alleanza atlantica da Jens Stoltenberg è infatti prossimo alla scadenza. Ormai da parecchi mesi, l’ipotesi Draghi come successore circola in modo insistente, tanto che è stata posta allo stesso Stoltenberg una domanda riguardo l’ex premier come possibile suo successore ma l’attuale segretario generale della Nato ha glissato.
Draghi avrebbe anche una serie di sponsor, dal francese Macron al tedesco Scholz fino a Biden. E chissà se la cieca fedeltà dell’Italia agli Stati Uniti sarà premiata. Il più convinto sponsor di Draghi è il presidente francese Emmanuel Macron, che si definisce ormai “amico personale” dell’ex banchiere. Il rapporto tra i due dura da tempo e ha avuto tra i momenti di maggior celebrazione la firma del Trattato del Quirinale, siglata a Roma il 26 novembre 2021 alla presenza del capo dello Stato italiano, Sergio Mattarella. Un accordo volto alla maggior cooperazione tra Francia e Italia e paragonato, per questo, al Trattato dell’Eliseo, che la Francia stipulò con la Germania per rafforzare l’alleanza franco-tedesca.
Ma la Francia non sarebbe la sola a sostenere Draghi nella corsa al quartier generale di Bruxelles: Parigi, pur essendo uno dei membri più importanti dell’Alleanza, potrebbe trovare sponde anche a Madrid e a Lisbona. La Spagna esprime infatti con Josep Borrell l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza; e difficilmente riuscirebbe a imporre un suo candidato al posto di Draghi. Portoghese è Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, cosa che rende difficile la partita anche per Lisbona. E poi c’è l’America, il maggior finanziatore della Nato oltre che perno di tutta l’Alleanza, a cui comunque spetta dare il sì definitivo sulle nomine.
Al di là delle manifestazioni di stima indirizzate a Draghi dal presidente Biden, c’è un precedente che potrebbe pesare, e non poco, sui giochi diplomatici: nel 2009 l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini era in corsa per sostituire il segretario uscente, l’olandese de Hoop Scheffer, ma alla fine gli fu preferito il danese Anders Fogh Rasmussen. L’allora capo dello Stato italiano, Giorgio Napolitano, fece pressione su Barack Obama perché l’Italia fosse in qualche modo compensata da quella sconfitta. È pur vero che i protagonisti in carica sono cambiati e nel frattempo la diplomazia e la politica internazionale sono entrate in fasi nuove e inedite. Ma sulla carta un impegno c’è. Inoltre, avere a capo della Nato un italiano di sicura fede filoccidentale, europeista e dalla parte di Kiev, potrebbe quasi convenire di più ai nostri partner europei e americani che alla stessa Roma. Va comunque precisato che l’appoggio di Palazzo Chigi per ottenere la nomina è indispensabile.