Il Ministero della Salute deve fornire i dati sui decessi che si sono verificati tra i soggetti sottoposti a vaccino anti-Covid: è quanto si evince dalla sentenza n.12013 del 17 luglio 2023 del Tar del Lazio, che accogliendo il ricorso presentato da un avvocato ha obbligato il dicastero a trasmettergli praticamente tutti i dati richiesti. I giudici, infatti, hanno imposto al Ministero di fornire l’elenco di coloro che si sono sottoposti al vaccino nel periodo indicato dal ricorrente (27 dicembre 2020 – 26 dicembre 2021), riportando la data di nascita degli stessi, quella in cui hanno effettuato la vaccinazione, la dose somministrata e la data dell’eventuale decesso avvenuto nelle 2 settimane successive all’iniezione.
Via libera, dunque, all’accesso agli atti relativi la morte “sospetta” di pazienti deceduti dopo la somministrazione del vaccino anti-Covid. In un momento storico in cui, finalmente, la verità sulla pandemia sta iniziando lentamente ad emergere ecco arrivare l’ennesimo, duro colpo per i sostenitori della linea di Draghi e Speranza, che avevano calpestato i diritti dei cittadini pur di imporre vaccinazioni obbligatorie e limitazioni. E un’altra conferma di quanto il fenomeno degli effetti avversi e dei potenziali rischi per la salute sia stato sottovalutato, svilito da una stampa allineata alla narrazione mainstream. Una decisione che potrebbe aprire nuove porte, permettendo a chi è ancora alla ricerca della verità di far luce sugli errori commessi durante la pandemia.
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Come spiegato da Il Sole 24 Ore , che ha riportato il testo integrale della sentenza, l’avvocato aveva chiesto di conoscere il numero di soggetti «deceduti entro 14 giorni dalla somministrazione della prima dose», specificando di voler ricevere i dati relativi alle morti avvenute «per qualunque motivo, non necessariamente riconducibile alla somministrazione del vaccino». Una richiesta motivata «dalla circostanza che i dati richiesti sarebbero fondamentali (se incrociati con altri dati statistici) al fine di meglio valutare gli eventi avversi che possono scaturire dalla vaccinazione». Un passaggio necessario, dunque, per far chiarezza su tanti casi di possibili morti sospette.
Per comprendere al meglio la vicenda, però, è necessario ripercorrerla cronologicamente. Tutto inizia il 16 giugno 2022, quando l’avvocato presenta al Ministero istanza di accesso civico, chiedendo di conoscere il numero dei soggetti deceduti nei 14 giorni successivi alla somministrazione della prima dose di vaccino anti-Covid. Il dicastero, tuttavia, il successivo 6 luglio dichiara «la competenza dell’Agenzia italiana del farmaco», alla quale inoltra l’istanza. Peccato che l’Aifa, così come l’Istituto nazionale di statistica e l’istituto Superiore della Sanità, si dichiarano «non in possesso di tali dati», con quest’ultimo che indica espressamente il Ministero della Salute quale «organo competente a fornire adeguato riscontro». L’avvocato, allora, effettua il 29 novembre 2022 una nuova istanza di accesso civico generalizzato avente ad oggetto sostanzialmente le medesime richieste, ed è solo il 23 gennaio 2023 che il Ministero della Salute fa pervenire la sua risposta, precisando di non contestare il «diritto del ricorrente di accedere alle informazioni richieste ma di non essere in possesso di tali dati».
Una risposta che diviene oggetto del ricorso e che viene ritenuta inaccettabile dal Tar, che ha smontato la tesi istituzionale. Basterà citare l’Anagrafe nazionale vaccini, istituita e disciplinata dal Decreto del Ministero della Salute del 17 settembre 2018, all’interno del quale a quanto pare sono contenuti i dati richiesti. «L’allegato A del suddetto Decreto indica i dati memorizzati all’interno del database – si legge nella sentenza – che specifica come essi siano precisamente la “data di nascita”, la “data del decesso”, la “vaccinazione”, la “dose della vaccinazione” e la “data di effettuazione” della stessa». La tesi ministeriale, basata sul mancato possesso dei dati, non sembra dunque veritiera.
«È dunque evidente che il Ministero è in possesso dei seguenti dati», aggiungono quindi i giudici precisando che «essi dovranno perciò “essere ostesi” dal dicastero, che dovrà trasmettere al ricorrente copia degli atti richiesti entro 30 giorni dalla comunicazione della presente sentenza». Il tutto con due sole limitazioni: la non comunicazione degli elementi relativi alle generalità dei soggetti vaccinati e del dato della loro età media. Il ricorso è stato quindi accolto in toto, con il diniego ministeriale annullato ed il dicastero obbligato a fornire le informazioni. Il Ministero, dunque, si è reso protagonista di un atteggiamento alquanto misterioso ed immotivato, che non può non generare dubbi e perplessità sul suo enigmatico operato.