I dubbi sono tanti. E per certi versi già noti. L’accordo stretto tra l’Italia e l’Albania per la creazione di due centri per migranti è già entrato sotto la lente d’ingrandimento dell’Ue. La Commissione Europea, spiega infatti un portavoce di Palazzo Berlaymont, è «a conoscenza dell’accordo operativo tra le autorità italiane e quelle albanesi. È importante che qualsiasi accordo di questo tipo rispetti pienamente il diritto comunitario e internazionale».
La Commissione Ue era stata informata dell’intesa, ma ha chiesto «dettagli» per poter valutare se l’iniziativa è in linea con la normativa Ue sull’asilo. Una normativa che si applica dentro il territorio nazionale degli Stati membri, comprese le acque territoriali, mentre all’esterno si applicano il diritto internazionale (che prevede in ogni caso il dovere di ricerca e soccorso in mare e il principio di “non respingimento”) e la Convenzione europea sui diritti umani.
Meloni e Rama hanno detto di averci lavorato per mesi, ma il testo sembra avere diversi punti che andranno chiariti nelle prossime settimane. In breve l’accordo prevede che l’Albania metta a disposizione dell’Italia due aree del proprio territorio per la realizzazione di due centri per migranti. Secondo Meloni le strutture saranno realizzate e gestite dall’Italia, a proprie spese e sotto la propria giurisdizione. Le due strutture potranno accogliere in tutto fino a un massimo di tremila persone contemporaneamente. Tra queste non potranno esserci minori, donne incinte e altre persone considerate vulnerabili: di conseguenza dopo una operazione in mare le navi italiane dovrebbero sbarcare una parte delle persone soccorse in Italia e poi portare le altre in Albania.
Nelle intenzioni del governo italiano in Albania finiranno le persone soccorse dalle autorità italiane coinvolte nel soccorso in mare: cioè essenzialmente la Guardia Costiera, la Guardia di Finanza, o la Marina Militare. Quindi non le persone soccorse dalle Ong. Al momento i migranti soccorsi dalle autorità italiane vengono sbarcati nei porti italiani più vicini al Mediterraneo centrale, dove avviene la stragrande maggioranza dei soccorsi: su tutti quello di Lampedusa, e alcuni porti di Sicilia e Calabria. Imporre alla Guardia Costiera e alla Guardia di Finanza di sbarcare alcune persone a Shengjin significa costringerle a un lungo viaggio: dalle coste meridionali della Sicilia, il porto di Shengjin dista almeno 700 chilometri. Da Shengjin poi dovrebbero fare il percorso inverso per tornare in servizio nel Mediterraneo centrale. In tutto parliamo di 3-4 giorni di navigazione fra andata e ritorno. Le navi della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza che si occupano di soccorso in mare, inoltre, sono imbarcazioni medio-piccole, inadatte per compiere tragitti così lunghi.
In ogni caso, mandare le navi italiane in Albania significherebbe lasciare sguarnito il Mediterraneo centrale: sia per altre operazioni di soccorso sia per svuotare il centro di Lampedusa. Anche la fase successiva presenta diverse complicazioni: per compiere tutte le procedure necessarie allo sbarco ed esaminare le richieste d’asilo, l’Italia dovrà inviare decine e forse centinaia di funzionari, che inoltre dovranno collaborare in maniera molto stretta con le autorità albanesi. Sembra assai difficile mettere in piedi una struttura del genere in pochi mesi.
Un altro problema riguarda la procedura di sbarcare nei porti italiani soltanto alcune persone soccorse, cioè quelle in condizioni più fragili come minori, donne incinte e persone in condizioni di salute precarie, e portare altrove le altre. A febbraio il Tar di Catania ha dichiarato illegittima una decisione del governo Meloni presa in un contesto simile. Nel novembre del 2022 il governo aveva deciso di far sbarcare dalla nave Humanity 1 della Ong SOS Humanity soltanto le persone in condizioni più fragili. A bordo erano rimaste 35 persone, tutti uomini, considerate in buona salute. In base all’appendice 2.1.10 della Convenzione di Amburgo sul soccorso in mare, entrata in vigore nel 1979 e firmata dall’Italia, le persone in difficoltà in mare vanno soccorse e portate in un porto sicuro «senza tener conto della nazionalità o dello statuto di detta persona, né delle circostanze nelle quali è stata trovata». Citando questa norma, il Tribunale ha stabilito che «fra gli obblighi internazionali assunti dal nostro paese vi è quello di fornire assistenza ad ogni naufrago, senza possibilità di distinguere, come sancito dal decreto ministeriale applicato nella circostanza, in base alle condizioni di salute». Se il governo decidesse di rendere strutturale la procedura degli sbarchi selettivi in base alle condizioni di salute e al profilo dei migranti, insomma, si esporrebbe a ricorsi e annullamenti, come già avvenuto nel caso di Catania.
Una volta arrivati in Albania, inizierebbero una serie di problemi derivati dalla condizione di avere un centro italiano, sotto la giurisdizione italiana all’interno di un altro stato, che per di più non fa parte dell’Ue. Il governo italiano sta insistendo molto sul fatto che all’interno dei centri albanesi la giurisdizione sarà italiana, e che le domande d’asilo saranno valutate da commissioni italiane in base alle leggi italiane ed europee. Questa insistenza fa pensare che l’Italia non voglia trovarsi nella stessa situazione del Regno Unito, che ormai da mesi sta cercando di esternalizzare al Ruanda la gestione di alcuni richiedenti asilo che arrivano sulle proprie coste: finora però la Corte europea per i diritti dell’uomo, che ancora oggi ha giurisdizione sul Regno Unito in quanto parte della CEDU, ha sempre annullato i trasferimenti dei richiedenti asilo. Fra le altre cose la Corte contesta al governo britannico il fatto che i richiedenti asilo trasferiti in Ruanda dovrebbero chiedere asilo in Ruanda, in base alle proprie leggi: di fatto quindi nei loro confronti il Regno Unito farebbe un respingimento indiscriminato, vietato da diverse norme del diritto internazionale fra cui l’articolo 33 della convenzione sullo status dei rifugiati firmata a Ginevra nel 1951.
Al momento però non è chiaro esattamente dove finiranno le competenze dell’Italia e dove inizieranno quelle dell’Albania: per esempio sulla sorveglianza del centro. Meloni ha detto che le autorità albanesi si occuperanno di pattugliare l’esterno del centro, mentre al suo interno la sicurezza sarà garantita dalle autorità italiane. Ma non è difficile immaginare una sovrapposizione delle due competenze, e casi che andranno definiti di volta in volta. In caso di problemi di ordine pubblico, per esempio un migrante arrestato comparirà davanti a un giudice italiano o albanese?