Era partita come l’assoluta urgenza di convertire la democrazia parlamentare in un sistema presidenziale. Nel giro di pochi mesi, però, la maggioranza ha dovuto ripiegare sull’elezione diretta del presidente del consiglio. Lo ha fatto cedendo a urgenze di natura propagandistica che guardano alle difficoltà del presente, ma anche per l’assoluta necessità di creare un argomento forte in vista della campagna elettorale per le europee del 2024. Così facendo i partiti della maggioranza hanno finito però per confezionare una riforma che lascia molte perplessità.
Ma cosa si intende precisamente con premierato? Una definizione chiara non esiste, come ha spiegato nei mesi scorsi il costituzionalista Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale all’Università di Perugia, a Pagella Politica. Il termine premierato può indicare ad esempio «un sistema in cui il presidente del Consiglio ha più poteri rispetto al nostro, per esempio quello di revocare i ministri», rimanendo però legato a un rapporto di fiducia con il Parlamento. Oppure, dice sempre Volpi, con “premierato” si può definire «un sistema in cui il presidente del Consiglio viene eletto direttamente dal popolo, annullando la necessità di un rapporto di fiducia parlamentare». Entra in gioco anche la questione della sfiducia costruttiva, cioè l’impossibilità per le Camere di sfiduciare un governo se contestualmente non viene accordata la fiducia a un altro esecutivo.
Il premierato è ben distinto dal presidenzialismo, con cui si fa riferimento a una forma di governo in cui il presidente della Repubblica ha funzioni politiche, viene eletto dai cittadini e ha una concentrazione più marcata di poteri nelle sue mani. Ne esistono di diversi tipi, da quello americano, dove non c’è rapporto di fiducia tra il capo dello Stato e le Camere, a quello francese (semipresidenzialismo).
L’elezione diretta del premier da parte dei cittadini è stato un obiettivo anche altri esecutivi del passato. Ma senza riuscire nell’intento. Non avendo mai trovato l’adeguata maggioranza in Parlamento, i progetti legislativi e di riforma sono sempre naufragati nei successivi referendum. Gli esiti referendari hanno poi segnato la fine dei governi-promotori. Il termine “premierato”, in Italia, è stato messo nero su bianco per la prima volta nel progetto di riforma costituzionale della Bicamerale del 1997, voluta dall’allora capo del governo Massimo D’Alema. Nella cosiddetta bozza Salvi, si chiamava “premierato” una forma di governo in cui il premier veniva eletto direttamente dal popolo. Naufragato questo tentativo di riforma, di premierato si è tornati a discutere nel 2006, in occasione di una nuova proposta di riforma costituzionale pensata dal centrodestra di Silvio Berlusconi. Nel 2020 Matteo Renzi ha ipotizzato la figura di un premier simile a un “sindaco d’Italia”, scelto quindi dai cittadini sul modello elettorale previsto per i sindaci nei Comuni con più di 15mila abitanti.
Di “premierato”, comunque, si è parlato spesso e non solo in Italia. Esiste soltanto uno Stato nel panorama internazionale dove il premierato inteso come elezione diretta del premier è diventato realtà: Israele. L’esperienza, iniziata nel 1992, è finita però nel 2002. Si può invece guardare alla Germania se si intende il premierato come una forma di governo in cui i poteri del primo ministro sono rafforzati rispetto a quanto succede ora ad esempio in Italia.
In Germania vige un sistema secondo il quale è solo il Cancelliere della Repubblica Federale (il Primo Ministro) a dover ottenere la fiducia del Parlamento. Il capo del governo può liberamente nominare un ministro o revocarne l’incarico. A Berlino esiste il principio della “sfiducia costruttiva”: le camere possono sfiduciare il premier avendo la certezza di poter nominare subito dopo un nuovo Cancelliere che abbia già la maggioranza in aula. Un caso del genere c’è stato nel 1982 con il ‘passaggio di poteri’ da Helmut Schmidt a Helmut Kohl.
Nel Regno Unito il modello elettorale è puramente maggioritario, non prevede l’elezione diretta del premier. Tuttavia il primo ministro è sempre il leader del partito che ha vinto le elezioni. Se dovesse verificarsi un cambio ai vertici dell’organizzazione politica di appartenenza, questa potrebbe riflettersi anche sul ruolo di capo del governo. Il passaggio non necessita di una nuova consultazione elettorale. Di recente è successo con l’avvicendarsi a Downing Street di Boris Johnson, Liz Truss e infine Rishi Sunak.
Israele è stato l’unico paese ad avere un sistema che consentisse l’elezione diretta del premier. Il metodo prevedeva due schede elettorali differenti: una con la quale i cittadini votavano il primo ministro, l’altra con la quale gli elettori, con sistema proporzionale, esprimevano la loro preferenza per i parlamentari. Tale dispositivo ha avuto nove anni di vita, dal 1992 al 2001. L’anno successivo, nel 2002, è stato abolito perché incapace di garantire la stabilità della maggioranza.