I social sono diventati una fonte inesauribile di informazioni. Informazioni personali e finanziarie, foto di acquisti e di vacanze. Da qui l’idea del viceministro all’Economia, Maurizio Leo, di utilizzare i social network per la lotta all’evasione. «Stiamo lavorando con l’Agenzia delle entrate e Sogei, quello che si deve fare è il così detto ‘data scraping’, considerando cioè i dati sul tenore di vita che professionisti e imprenditori pubblicano sui social». Parole non nuove quelle di Leo, che già in passato aveva ipotizzato l’uso dell’Intelligenza artificiale per scovare gli evasori e i loro 80-100 miliardi di tasse che sottraggono all’erario. Che però hanno suscitato polemiche e prese di distanza dagli stessi membri della maggioranza di governo.
Tutto inizia mercoledì durante l’audizione in Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria del viceministro dell’Economia Maurizio Leo (FdI) che, rispondendo a una domanda del deputato M5s Emiliano Fenu, si dice convinto che l’evasione è un’emergenza paragonabile al «terrorismo» e «bisogna fare un passo avanti per permettere all’amministrazione finanziaria di lavorare sul versante del data scraping». Tanto basta per scatenare la reazione della Lega: Armando Siri, consulente economico del leader della Lega parla «di slogan che sicuramente scalda i cuori ideologici di chi ha sempre scambiato la giusta lotta all’evasione con un’indiscriminata caccia alle streghe ma soprattutto esonda i confini del programma di governo, che in politica economica e fiscale ha l’obiettivo di ridurre il carico fiscale raggiungendo una Flat Tax al 15% per tutti e semplificare gli adempimenti».
Ma davvero il governo Meloni, dopo avere in molte occasioni strizzato l’occhio agli evasori, intende dare via libera all’uso delle informazioni disponibili su internet. Oppure no? La premier, quando era all’opposizione, ha più volte bollato l’incrocio dei dati delle dichiarazioni dei redditi con quelli dell’Archivio dei rapporti finanziari e delle fatture elettroniche come «Grande fratello fiscale» sostenendo che «lo Stato guardone avrebbe saputo in tempo reale cosa compra e cosa fa ogni singolo cittadino con i suoi soldi, che film vede al cinema, se va al ristorante o in pizzeria».
Non ci sono dettagli su come il viceministro avrebbe intenzione di intervenire. Leo nelle sue dichiarazioni si riferiva al data scraping, una tecnica che prevede l’utilizzo di un software in grado di prelevare informazioni da un sito internet (compresi i social) e classificarle in base a caratteristiche richieste: tutte le persone con i capelli biondi, tutti i possessori di auto sportive, tutti i corsi di padel per principianti, per esempio. Una tecnica di classificazione automatica delle informazioni. Non è sempre un’attività lecita. Anzi, ci sono stati molti casi in cui il data scraping è stato considerato illegale. Il caso più noto, più eclatante, è quello di Cambridge Analytica, la startup che nel 2018 si scoprì avere dati sulla vita di 87 milioni di persone e di averli raccolti al fine di farne target per la propaganda politica. Ma di casi di cronaca analoghi se ne sono contati a decine negli ultimi anni. Meta ha annunciato misure durissime contro chi fa data scraping sulle sue piattaforme. Elon Musk ha bloccato un anno fa la visualizzazione di tweet oltre un certo numero per ostacolare la pratica.
La raccolta di questi dati può avvenire in diversi modi. Di base, c’è l’automazione dei processi di raccolta dei dati che vengono fatti da bot o spider (nomi tecnici che indicano i software progettati per fare solo quello). Automazione che spesso sfocia nel rischio di raccogliere dati in modo illecito e irrispettoso della privacy.
La legge europea sui dati personali (Gdpr) non vieta il data scarping a prescindere. Nel caso del data scraping applicato da uno stato ai fini di combattere l’evasione fiscale ci sono questioni da risolvere: capire se il trattamento dei dati violi i diritti fondamentali dei cittadini, se non c’è un’eccessiva introduzione nella vita delle persone. Ma c’è un dato di fatto. Sulla rete, sui social, le persone spesso condividono le proprie vite. E lo fanno pubblicamente, anzi, spesso cercando di raggiungere la più vasta audience possibile, raccontando di sé stessi, dei propri acquisti, delle proprie vacanze.
Un patrimonio di informazioni che potrebbe diventare oggetto di studio e di indagine da parte dell’Agenzia delle entrate. Almeno nelle intenzioni del viceministro Leo. Un progetto la cui fattibilità è da capire. «Occorre trovare un accordo con l’Autorità per la privacy. Già abbiamo iniziato a ragionare con il Garante della Privacy e da parte loro c’è assoluta disponibilità, ferma restando la tutela dei dati personali. Se l’amministrazione finanziaria acquisisce elementi che sono messi a supporto dell’attività di indagine questo fa fare un passo avanti al sistema. Altrimenti, se ragioniamo solo su dati economici, questi devono essere assistiti da un’attività di controllo».