Cosa farà la sinistra dopo le elezioni? Si alleerà con il Partito Democratico, o magari darà appoggio esterno ai Cinque Stelle o più semplicemente rimarrà a fare opposizione? Le più comuni domande che gli italiani si fanno su “Liberi e Uguali” del triumvirato Grasso, D’Alema, Bersani sono queste. Ipotizzando un risultato elettorale tra il 6% e l’8%, che per i sondaggisti è il più probabile risultato che conseguirà il neonato listone di sinistra, c’è chi pensa che quei numeri possano poi servire per un patto a sorpresa con il M5S senza entrare con loro al Governo ma nell’ottica invece di una eventuale convergenza esterna, da verificare punto per punto e di volta in volta.
L’INDIZIO DI GRASSO. Il segnale e l’indizio su quello che in realtà potrebbe accadere porta altrove e lo ha dato proprio il presidente del Senato affermando: «Noi siamo alternativi al Pd, però dopo le elezioni potremmo anche aprire un ragionamento col Partito Democratico». Come dire che, in sostanza, se per “Liberi e Uguali” arriverà un buon risultato, si potrebbe anche aprire un dialogo con il Pd per verificare l’opportunità di fare un Governo insieme. Ovviamente il discorso ha per ineludibile premessa il passo indietro di Matteo Renzi, era fuori discussione e lo sanno tutti. Ma dopo i vari Esecutivi Letta, Renzi e Gentiloni eletti da nessuno, se dovesse saltare il “patto Renzusconi” e se dovesse sanarsi nel post-voto la diaspora della sinistra italiana, su chi convergerebbe un eventuale abbraccio politico anti-centrodestra?
I NOMI SUL TAVOLO. D’Alema e Bersani hanno già le idee chiare e dopo le urne proveranno a far saltare l’inciucio del Nazareno bis proponendo un’alleanza di programma con un candidato premier che metta d’accordo Partito Democratico e “Liberi e Uguali” in nome di una derenzizzazione del centrosinistra. Stampella del Pd ma fino a un certo punto, perché il nome per la presidenza del Consiglio lo vuole indicare il triumvirato. Sul tavolo ci sono già i nomi: uno in verità sembra di difficile percorribilità ed è quello di Gentiloni. L’attuale presidente non dispiace ai fuoriusciti del Pd, tuttavia la sua nomination cade subito perché a sinistra viene visto come figura troppo accondiscendente a Renzi e non rappresenterebbe la discontinuità, anzi il contrario in effetti. E allora ecco la candidatura di Walter Veltroni, pronto a tornare in politica per mettere d’accordo i litiganti della sua area politica, e l’alternativa a Veltroni è Romano Prodi. D’Alema e Bersani hanno provato a candidarlo premier prima ancora della scissione e ci riproveranno dopo il voto, perché per la sinistra italiana il professore che intonava la cantilena delle “tasse sono belle” è un nome buono per tutte le stagioni. Nonostante i disastri che, in verità, ha fatto nelle sue esperienze a Palazzo Chigi.