Forse sono solo schermaglie elettorali. Ma i due partiti di maggioranza si dividono su ogni tema, ad ogni dichiarazione, ad ogni comizio. L’ultimo giro di accuse incrociate vede Matteo Salvini additare i Cinquestelle di «troppa sintonia» con il Pd: «No alla flat tax, no ad Autonomia, no al nuovo decreto sicurezza. E magari riapriamo i porti. Mi spieghi qualcuno se vuole andare d’accordo con il Pd o con gli italiani e la Lega rispettando il patto». Mentre Luigi Di Maio risponde al leader della Lega di non riconoscerlo più: «Si è tolto la felpa e ora difende la casta».
Ma la svolta a sinistra del M5s è ormai evidente. I pentastellati sono antifascisti al Salone di Torino e pro-cannabis negli shop, visitano gli inquilini rom di Casal Bruciato e inneggiano a papa Francesco che riaccende la luce nei palazzi occupati dai profughi. Hanno fatto il reddito di cittadinanza e ora propongono il salario minimo. Di Maio ha persino preso le difese del partito dei contestatori di Salvini nelle piazze: «Sequestri di telefonini, persone segnalate, striscioni ritirati. Troppa tensione».
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La rottura si è consumata probabilmente con la revoca dell’incarico a Siri: da allora circolano voci che la Lega sia alla ricerca di un piano B dopo le europee del 26 maggio. Così il M5s si è ricordato del piano A. Perché non è un mistero che subito dopo il voto del 4 marzo la prima scelta di Di Maio, e di una fetta importante dell’establishment grillino, era un’alleanza con un Pd senza Renzi. Ed ora che l’ex premier dem è fuori dai giochi quest’alleanza potrebbe davvero essere possibile?
I numeri ci sono: 345 deputati e 163 senatori se si somma il numero dei parlamentari del Movimento 5 stelle, con quelli del Pd, e di Liberi e uguali (questi ultimi 14 alla Camera e 4 che siedono nel gruppo misto al Senato). E non lo nasconde il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti: «In Parlamento ci sarebbero i numeri, per una alleanza di governo tra M5s e Pd, sia alla Camera sia al Senato. Leggo sui giornali di avvicinamenti». Ed evoca addirittura lo scenario di voto anticipato: «Sono quattro mesi di campagna elettorale, lo stato di litigiosità è evidente a tutti. Se prosegue dopo il 26 maggio è insostenibile. Sono convinto che dopo ci sarà un altro indirizzo per la convivenza e un altro metodo di lavoro».
Gli interessati, per ora, negano. Immediata la smentita di Luigi Di Maio e di tutto il Pd. «Ma quale sintonia? Con un partito che pensa solo di alzare lo stipendio ai parlamentari e ai vitalizi? Il Pd è un semaforo che sta fermo, non ho nessuna sintonia col Pd», dice il capo politico dei 5 stelle. «È un trucco: si dice che Di Maio adesso sia diventato di sinistra», afferma Zingaretti. «Io mi permetto di dire a Di Maio: non si può affermare che è uno scandalo che Salvini si allei con i neonazisti in Europa e poi permettergli di fare il ministro degli interni perché questa è ipocrisia, è una contraddizione. Una persona di sinistra questo non lo permetterebbe mai. Siamo da un mese in un loop di polemiche, purtroppo, fanno quasi finta di litigare e scaricano sugli italiani un prezzo insopportabile».