Intel, Micron e altri produttori di microchip hanno aggirato i divieti per continuare a fornire i loro componenti a Huawei. In che modo? Etichettando le componenti fornite come di provenienza non americana. Infatti, il ban dell’amministrazione Trump si applica solo ai componenti prodotti direttamente negli Stati Uniti. Questa soluzione ha permesso a Intel e agli altri di continuare a fare affari con uno dei loro principali clienti esteri: Huawei lo scorso anno aveva speso circa 11 miliardi di dollari per acquistare i componenti prodotti da aziende statunitensi, indispensabili per i suoi smartphone e per le attrezzature con le quali costruisce le reti di telecomunicazione.
Secondo quanto riportato dal New York Times serpeggia una certa confusione persino tra i più stretti collaboratori di Trump: alcuni ritengono che aggirare il blocco sia da ritenere a tutti gli effetti una violazione poiché rende vani gli sforzi finalizzati a colpire il business di Huawei, visto da Washington come una minaccia per la sicurezza nazionale, altri sono invece favorevoli a una ripresa dei rapporti commerciali in quanto un’improvvisa interruzione causerebbe un grave danno economico anche per i produttori statunitensi. Sanjay Mehrotra, Ceo e presidente di Micron, ha dichiarato nei giorni scorsi che la compagnia ha interrotto le spedizioni delle componenti verso Huawei in seguito all’inclusione dell’azienda cinese nella Entity List degli Usa, riprendendole dopo aver analizzato a fondo le normative vigenti e le tipologie dei prodotti interessati.
Gli occhi sono ora puntati sul G20 che si terrà ad Osaka il 28 e 29 giugno, dove l’atteso confronto diretto fra Trump e Xi Jinping potrebbe portare a un superamento di questa fase di stallo. Huawei continuerà a beneficiare di una parziale sospensione dei divieti fino al 19 agosto, per quanto riguarda l’utilizzo di Android, nella versione più ricca e completa realizzata da Google, ma non è chiaro che cosa accadrà alla scadenza del divieto.