«Durerò fino al 2023». Il premier Conte rivendica il successo del referendum ottenuto da Di Maio e quello per il risultato delle Regionali ottenuto da Zingaretti. Se qualcuno lo avesse detto solo qualche mese fa, ci avrebbero creduto in pochi: il governo M5s-Pd esce intatto da questa tornata elettorale. Anzi, per dirla con la voce dei protagonisti, l’alleanza ora è addirittura «rafforzata».
Nicola Zingaretti lo ha ripetuto anche in queste ore: «Se ci fossimo alleati avremmo vinto quasi ovunque». Forse il segretario dem esagera. Ma è evidente che nella vittoria del centrosinistra in Toscana e in Puglia un ruolo decisivo lo hanno avuto quegli elettori pentastellati che hanno deciso di convergere sul candidato del Pd sconfessando la linea del vertice M5s che ha puntato sulla corsa in solitaria.
Luigi Di Maio lo ha già capito. Pur enfatizzando il risultato del referendum ha espresso un giudizio critico sul suo partito per come ha deciso di presentarsi alle Regionali. E non basterà a confutarla ricordare che in Liguria, dove l’alleanza si è fatta, a prevalere è stato il centrodestra. Che le Regioni in bilico fossero Puglia, Toscana e Marche era noto. Ma soprattutto queste erano le Regioni governate dal loro alleato, il Pd. Una presa di posizione con cui Di Maio si presenterà ai prossimi Stati generali programmati da M5s e nei quali si deciderà la leadership del Movimento.
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È chiaro intanto che gli alleati andranno a Palazzo Chigi per battere politicamente cassa. Per primo Zingaretti, che è sopravvissuto al tentativo di spallata del centrodestra, a cui avrebbe certamente fatto seguito la spallata nel partito. Il segretario dem eviterà inizialmente di impantanarsi in una disputa sulle poltrone ministeriali. Piuttosto metterà il premier alla prova sul terreno più insidioso: sui provvedimenti. Già ha iniziato a rivendicare il Mes e la modifica dei decreti Sicurezza.
Conseguenze ci saranno anche nel centrodestra. Giorgia Meloni ha perduto la posta più importante: conquistare una delle principali regioni del centro sud ovvero la Puglia anche se in parte è stata compensata dalla vittoria di Acquaroli nelle Marche. Contrariamente a quanto raccontavano i sondaggi pre-voto non c’è stato nessun testa a testa in Puglia. Già dopo la seconda proiezione la distanza tra il governatore uscente Michele Emiliano e quello fortemente voluto dalla presidente di Fdi, Raffaele Fitto, a rappresentare il centrodestra, era tale da rendere scontata la sconfitta. In compenso Meloni può rivendicare il successo del suo partito che non solo in Puglia ma anche in Campania si gioca il posto di primo partito della coalizione.
Comunque andrà a finire la sfida interna al centrodestra sul primato nel Mezzogiorno è evidente che il grande sconfitto di queste regionali è Matteo Salvini e il suo progetto di sfondamento al Sud. Per la seconda volta l’ex ministro dell’Interno manda una sua fedelissima, Susanna Ceccardi, a schiantarsi contro il muro rosso, senza riuscire a mettere il cappello sulle altre vittorie del centrodestra: oltre al già citato Acquaroli di FdI, infatti, né Toti né Zaia sono da considerarsi salviniani. Il voto veneto è inoltre un plebiscito per Luca Zaia, che raccoglie i frutti della gestione dell’emergenza coronavirus e consolida l’idea che «un altro leader è possibile» in casa leghista.
Anche perché pur continuando a ripetere che questo non è un risultato a valenza nazionale, anche Salvini è consapevole che il voto di queste regionali favorisce il governo. Insomma, potremmo dire che oggi si apre la fase 2 del Conte 2 e se le certezze, come in tutte le epoche politiche sono poche, una c’è ed è incontestabile: Italia viva, che alle Regionali ha raccolto le briciole, se lo sogna di fare l’ago della bilancia.