Per sbloccare i negoziati sul Recovery Fund, la Germania che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea ha ricevuto dagli ambasciatori dei 27 Stati membri il mandato a negoziare con il Parlamento Ue l’introduzione di un meccanismo di condizionalità legata al rispetto dello Stato di diritto. Un via libera che però non è stato all’unanimità ma a maggioranza qualificata (8 Paesi contrari su 27) con il voto decisivo dell’Italia, che ha tutto l’interesse a non rallentare l’entrata in vigore del pacchetto di aiuti.
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La proposta tedesca mira a trovare una mediazione tra il blocco di Visegrad che chiede di alleggerire il legame tra il rispetto dello Stato di diritto e l’accesso ai fondi e i cosiddetti Paesi “Frugali” che spingono perché il rispetto dei principi democratici diventi una condizione irrinunciabile per ottenere le risorse del Recovery Fund.
Gli esperti di stato di diritto, le principali organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani e persino le autorità indipendenti dell’Unione Europea concordano che diversi paesi membri dell’Est – soprattutto Ungheria e Polonia, ma anche Repubblica Ceca, Bulgaria e Romania – abbiano problemi enormi nel rispettare l’indipendenza della magistratura e dei tribunali, nel garantire la trasparenza riguardo le misure prese dal governo, e nel proteggere i diritti di minoranze e oppositori politici. La Commissione ha avviato da tempo delle procedure di infrazione contro Polonia e Ungheria senza però riuscire a influenzare più di tanto le decisioni dei rispettivi governi.
Gli strumenti legislativi adottati finora si sono rivelati inefficaci: la cosiddetta “opzione nucleare”, cioè l’articolo 7 del Trattato di Lisbona, la risorsa più potente a disposizione dell’Unione per sanzionare gli stati che non rispettano gli standard comunitari, prevede sanzioni pecuniarie soltanto in caso di unanimità in sede di Consiglio da parte degli stati non sottoposti alla procedura: un’eventualità praticamente impossibile, dato che Polonia e Ungheria da tempo hanno annunciato che in caso di votazioni del genere nei confronti dell’altro stato porrebbero il diritto di veto. Anche la “Relazione sullo stato di diritto” che si è inventata la Commissione di Ursula von der Leyen, che per coincidenza è stata presentata oggi, non prevede alcuna sanzione concreta per i paesi che non rispettano lo stato di diritto.
L’introduzione di un meccanismo che leghi esplicitamente il rispetto dello stato di diritto all’accesso ai fondi è un tentativo di creare uno strumento nuovo, considerata sia l’inefficacia di quelli esistenti sia la cronica dipendenza dei paesi dell’Est dai fondi europei. Fra il 2013 e il 2020 l’Ungheria ha ricevuto dall’Unione Europea fondi per 46,5 miliardi di euro, un terzo del suo Pil annuale. La Polonia, il paese che più di tutti beneficia di fondi europei per via della povertà diffusa e dell’arretratezza dell’industria locale, nello stesso periodo ha ottenuto 207 miliardi di euro.
Ma il compromesso trovato dalla Germania non ha soddisfatto tutti. Il Parlamento europeo chiedeva che in caso di accertate violazioni dello stato di diritto la Commissione decide se tagliare i fondi a un certo Paese, e il Consiglio può decidere di bloccare la misura con un voto a maggioranza qualificata (cioè almeno il 55 per cento degli stati che rappresentino il 65 per cento della popolazione europea). Il compromesso della presidenza tedesca ha ribaltato il senso della proposta del Parlamento: nel testo, le sanzioni dovrebbero essere proposte dalla Commissione e approvate da una maggioranza qualificata in Consiglio.
Un passo indietro rispetto alla proposta del Parlamento, approvata a luglio: Rasmus Andresen, un europarlamentare tedesco dei Verdi che siede in commissione Bilancio, ha detto che la presidenza tedesca «ha deciso di schierarsi con Viktor Orbán». Un altro europarlamentare tedesco dei Verdi, Daniel Freund, ha detto al Guardian che la proposta del Parlamento è stata annacquata anche in altri punti: la bozza della presidenza tedesca, per esempio, non parla più di mancanze generali dello stato di diritto in un certo paese ma soltanto del «funzionamento» delle autorità nazionali che si occupano dei fondi europei: una formula che potrebbe escludere tribunali e magistrature.
I governi di diversi paesi del Nord – Paesi Bassi, Danimarca, Svezia, Finlandia, Austria, Belgio e Lussemburgo – hanno votato contro il compromesso in sede di Consiglio perché ritengono che indebolisca eccessivamente i poteri a disposizione della Commissione Europea, e che di conseguenza sia troppo simile ai meccanismi poco efficaci già in vigore.
La proposta tedesca, comunque, è stata anche respinta dai governi dei paesi dell’Est. «In Polonia non siamo d’accordo con l’applicazione arbitraria di alcune clausole e con quelli che ci dicono di “no” soltanto perché non gli piace il nostro governo», ha detto il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki. La ministra della Giustizia ungherese Judit Varga ha già fatto sapere che ritiene il compromesso tedesco «inaccettabile». Nonostante la proposta sia stata approvata dal Consiglio e verrà negoziata col Parlamento nelle prossime settimane, i governi dei paesi dell’Est hanno già lasciato intendere di volerla bloccare ponendo il veto su un’altra questione, assai più rilevante: l’approvazione del nuovo bilancio pluriennale 2021-2028, a cui è collegato il Recovery Fund.
I trattati europei prevedono che sulle questioni di bilancio il Consiglio debba decidere all’unanimità: di conseguenza Ungheria e Polonia potrebbero decidere di bloccare i negoziati sul bilancio pluriennale finché non sia trovata una soluzione a loro gradita sul meccanismo dello stato di diritto. I tempi sono molto stretti: c’è tempo fino alla fine dell’anno per approvare il bilancio pluriennale in modo che entri in vigore nel 2021.