La pausa è servita al premier incaricato per raccogliere le idee dopo il primo giro di consultazioni. Mario Draghi si muove nel solco indicato dal Capo dello Stato: un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica. Il suo obiettivo è raccogliere una maggioranza più ampia possibile. Del resto, anche Lega e M5s hanno dichiarato il proprio sostegno. Nutre dubbi il Partito democratico anche se alla fine appare scontato che i democratici non potranno tirarsi fuori. Per il via libera definitivo bisognerà attendere fino a martedì sera, quando terminerà il secondo giro di consultazioni.
Si ricomincia con il gruppo Misto della Camera e si finisce martedì pomeriggio con il Movimento 5 Stelle. L’incaricato dovrebbe anche confrontarsi con le parti sociali. Un dialogo molto atteso da imprese e sindacati, anticipato da Draghi subito dopo aver ricevuto il mandato dal Colle, ma per ora senza convocazione ufficiale. Al presidente Mattarella, Draghi potrebbe riferire mercoledì 10 per sciogliere la riserva dell’incarico ricevuto il 3 febbraio.
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Restano i nodi da sciogliere sul programma e sulla squadra. Che il perimetro del governo Draghi vada attualmente oltre la maggioranza Ursula, ovvero oltre un allargamento limitato a Forza Italia, come avrebbe desiderato il segretario dem Nicola Zingaretti, non può essere un elemento di discussione. Così come la composizione della squadra di governo. Sarà compito di Draghi definirla. Eppure sono tanti gli esponenti Dem che proprio non digeriscono di mescolarsi con la Lega. I problemi girano tutti intorno al «perimetro programmatico» del nuovo governo e al tema della “coabitazione”, ossia di come si possa definire un equilibrio tra avversari distribuendo gli incarichi ministeriali.
La svolta di Salvini ha spiazzato tutti. Il Pd si trova a un bivio: sostenere il governo Draghi con i suoi ministri, oppure, nel caso in cui entri la Lega, appoggiarlo dall’esterno servendosi di tecnici d’area. E se è vero che i vertici del partito hanno smentito l’ipotesi di un sostegno dall’esterno, è vero altresì che andare al governo con Salvini potrebbe significare perdere l’identità. Non a caso Zingaretti avrebbe rimarcato a Draghi la necessità di una maggioranza «ampia» ma «il più possibile omogenea». Mai contro i sovranisti è anche il mantra di Leu. In casa Cinquestelle non è bastato l’arrivo di Beppe Grillo. Il garante guida il processo di avvicinamento all’esecutivo di Mario Draghi. Eppure il gruppo resta diviso, decine di senatori sono assai ostili all’ex governatore della Bce. Non accettano che il governo sia guidato da un tecnico e che sia tanto ampio da includere anche Berlusconi.
Da parte sua, Draghi ha evitato qualunque anticipazione anche sul tipo di compagine. L’ipotesi che resta prevalente è quella di un mix tra tecnici e politici, ma con una prevalenza numerica dei primi. Un esecutivo «misto» a prevalenza tecnica permette anche di diluire i contrasti fra i partiti e i possibili conflitti che deriverebbero da una partecipazione massiccia di esponenti politici.
Lo snodo del programma ha caratura insieme tecnica e politica. Sarà asciutto e aperto ad ogni contributo. Ma soprattutto sarà il programma di Draghi, che non a caso nel corso delle consultazioni ha citato l’articolo 95 della Costituzione, per rimarcare che l’indirizzo politico del governo tocca a lui: «Farò io la sintesi». In che modo e con quale tipo di interventi lo spiegherà nel secondo giro di consultazioni, nel quale manifesterà i punti salienti del suo programma di governo.