«Whatever it takes», «Costi quel che costi». Sono parole che hanno fatto la storia quelle che Mario Draghi pronunciò nel 2012 quando l’Europa stava attraversando una drammatica crisi economica con i mercati in fermento e l’Euro sotto attacco. E sono le stesse a cui avrà pensato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quando ha deciso di convocare Mario Draghi al Quirinale nel tentativo di formare un governo tecnico, «di alto profilo», dopo le dimissioni di Giuseppe Conte. In attesa di scoprire se Draghi sarà effettivamente il prossimo presidente del Consiglio, ripercorriamo le fasi salienti della sua carriera.
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Mario Draghi nasce a Roma il 3 settembre 1947. Si laurea con l’economista Federico Caffè presso l’università La Sapienza di Roma, per poi ottenere un dottorato in Economia al prestigioso Massachusetts Institute of Technology. Dopo essere stato accademico di rango (all’Università di Trento, di Padova e di Venezia), approda nei corridoi ministeriali nella veste di consigliere economico del ministro del Tesoro Giovanni Goria, che lo designa a rappresentare l’Italia negli organi di gestione della Banca mondiale.
Tra il 1984 e il 1990 è Direttore Esecutivo della Banca Mondiale, mentre dal 1991 al 2001 è Direttore Generale del Ministero del Tesoro. Prima di diventare Governatore della Banca d’Italia nel 2005, compie un passaggio ai vertici europei in Goldman Sachs, una delle principali banche d’affari a livello globale.
Nel 2011 diventa il terzo presidente della Banca centrale europea. Quando assume l’incarico lo scenario economico europeo e mondiale è scosso dalle conseguenze della Grande crisi finanziaria iniziata nel settembre del 2008 con il fallimento della banca statunitense Lehman Brothers. Un evento che condizionerà il suo intero mandato e che lo impegnerà negli otto anni trascorsi alla guida della Bce nel contrastare gli effetti della Grande crisi: calo dei prezzi, recessione, e la stessa minaccia esistenziale alla sopravvivenza dell’euro. È in quel ruolo che, il 26 luglio del 2012, alla UKTI’s Global Investment Conference di Londra, pronunciò le parole che diedero una svolta alla crisi dell’euro. in quell’occasione, Draghi sostenne infatti che la Banca centrale europea era pronta a fare «whatever it takes» per salvare la moneta unica: «and believe me – aveva aggiunto -it will be enough» («e credetemi, sarà abbastanza»).
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Draghi, a partire dal 2015, inaugura l’era di una politica monetaria non convenzionale, segnata da tassi negativi e dal «quantitative easing, con cui la Banca centrale europea acquista titoli di stato dei paesi dell’Eurozona per 60 miliardi di euro. Il programma di acquisti di titoli termina a fine 2018. In questo periodo la Bce ha acquistato obbligazioni per un totale di 2,6 miliardi di euro. Prima di lasciare la guida della Bce nel 2019, di fronte al rallentamento della congiuntura economica innescato dalle guerre commerciali, e soprattutto a causa del mancato raggiungimento degli obiettivi di inflazione nell’Eurozona, Draghi e il board della Bce decidono di lanciare un nuovo programma di acquisto di titoli. Il programma, di durata indefinita, prevede l’acquisto di 20 miliardi al mese.