No alla distribuzione dei migranti, sì ai blocchi esterni. Giorgia Meloni registra una clip di sei minuti e mezzo e traccia la linea del governo italiano sul tema immigrazione: «Un aspetto da affrontare in maniera strutturale». «Serve una missione europea navale per fermare i migranti». E al contempo favorire gli investimenti nel Nordafrica: «Ho scritto alla presidente della Commissione europea per chiederle di venire con me a Lampedusa per rendersi personalmente conto della gravità della situazione che affrontiamo e per accelerare immediatamente la concretizzazione dell’accordo con la Tunisia trasferendo le risorse concordate. È mia intenzione in quella sede ribadire che è necessario avviare immediatamente una missione Ue per bloccare le partenze dei barconi».
«Nell’immediato il governo italiano intende adottare misure straordinarie per fare fronte al numero di sbarchi che abbiamo visto sulle nostre coste», annunciando che il pacchetto sarà portato in Consiglio dei ministri lunedì. Al 13 settembre in Italia erano arrivate oltre 113mila persone, quasi il doppio delle 65mila del 2022 e un numero prossimo a superare anche i dati del 2016, l’anno finora più intenso dal punto di vista degli sbarchi.
Non solo il governo attuale ma anche gli altri di questi anni si sono avvitati su se stessi nel tentativo di gestire il fenomeno immigrazioni: il sistema di accoglienza è frammentato e, dato che è di competenza del ministero dell’Interno, l’approccio usato è prevalentemente quello della sicurezza. A differenza di altri paesi infatti l’Italia non ha un ministero dell’Immigrazione, pur essendo tra i più esposti al fenomeno in Europa per ragioni territoriali. Ciclicamente esperti e analisti ripropongono l’idea di istituire un ente simile, che possa farsi carico della gestione dei flussi migratori.
Nel programma presentato per le elezioni del 25 settembre del 2022, l’alleanza tra Azione e Italia Viva sosteneva che l’immigrazione fosse gestita «con politiche tra loro contraddittorie da vari ministeri», e quindi proponeva di istituire un «ministero per l’Immigrazione» proprio per «superare la frammentazione di funzioni dei vari uffici». Nel 2019 anche l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, intervenendo alla festa del Partito Democratico a Ravenna, aveva detto di essere favorevole all’istituzione di un ministero per l’Immigrazione, «vista la complessità del problema». L’idea si ritrova anche in una proposta di legge del 1999, mai esaminata in parlamento.
C’è anche qualche precedente in questo senso. Tra il 2011 e il 2013 il fondatore della comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi fu nominato ministro dell’Integrazione con il governo tecnico di Mario Monti, mentre tra il 2013 e il 2014 il governo Letta istituì la carica del ministro per l’Integrazione, affidata a Cécile Kyenge. Entrambi però non hanno avuto un impatto rilevante sul sistema di gestione nel suo complesso.
In Italia il soggetto principale che si occupa di immigrazione è il ministero dell’Interno che, secondo quanto stabilito da un decreto legislativo del 1999, deve tutelare «i diritti civili, ivi compresi quelli delle confessioni religiose, di cittadinanza, immigrazione e asilo». L’immigrazione quindi si è caratterizzata come una questione di sicurezza, che ha poco a che fare con le politiche sociali. Gran parte del lavoro svolto dal ministero dell’Interno nei confronti dei migranti passa infatti attraverso le prefetture, i centri di identificazione (gli hotspot) e quelli per il rimpatrio, mentre le attività di integrazione sono spesso messe da parte o delegate alle associazioni, alle cooperative e agli enti locali.
Non a caso i decreti per la gestione dell’immigrazione approvati nel 2018 dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini si chiamavano proprio decreti Sicurezza e contenevano principalmente misure volte a disincentivare e punire gli sbarchi, un approccio adottato anche dal governo di Giorgia Meloni con il decreto Cutro dello scorso marzo. Peraltro è una tendenza che riguarda anche governi del passato, con altri orientamenti politici. I decreti approvati nel 2017 e voluti dall’allora ministro dell’Interno, Marco Minniti del Partito Democratico, affrontavano il grosso aumento nel numero di arrivi cominciato nel 2015 introducendo norme più severe sulle espulsioni e sulla sicurezza.
L’attribuzione al ministero dell’Interno delle competenze relative all’immigrazione non è una peculiarità italiana. Funziona in modo simile in molti paesi europei, tra cui la Francia e la Germania, e anche a livello comunitario il tema è di competenza della direzione generale per le Migrazioni e gli Affari interni (DG HOME). In Spagna invece fino al 2020 l’immigrazione era di competenza del ministero per il Lavoro, le Migrazioni e la Sicurezza sociale, che il governo del socialista Pedro Sánchez ha poi separato creando il ministero per il Lavoro e l’Economia sociale e quello per la Sicurezza sociale, l’Inclusione e le Migrazioni. In alcuni paesi, come il Canada e l’Australia, esiste invece un vero e proprio ministero dell’Immigrazione.
C’è anche un problema apparentemente più banale, di organizzazione burocratica. Le competenze sul sistema di accoglienza italiano sono frammentate e in capo a più enti. Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, per esempio, si occupa di programmare e gestire i flussi di migranti regolari, promuovere il loro coinvolgimento nel mercato del lavoro e coordinare le attività di tutela dei minori stranieri, un altro grande ramo del sistema di accoglienza che segue procedure diverse rispetto a quelle applicate agli adulti. Il ministero dell’Istruzione deve gestire l’inserimento nelle scuole italiane di studenti stranieri, soprattutto se sono nell’età dell’obbligo (meno di 16 anni), mentre il ministero degli Esteri contribuisce a negoziare gli accordi internazionali sui rimpatri.
Alcuni analisti sostengono che l’assetto organizzativo delle istituzioni italiane nei confronti dell’immigrazione sia ormai datato e inadatto a gestire flussi in costante aumento. Secondo Andrea Graziosi, docente di storia contemporanea all’Università Federico II di Napoli, per migliorare le cose servirebbe un cambiamento culturale: «Fino agli anni Ottanta l’Italia è sempre stata un paese di emigrazione», e non è ancora riuscita ad adattarsi a una situazione mutata. «Oggi esiste solo una gestione da ordine pubblico di migrazioni spontanee», dice Graziosi, aggiungendo che invece sarebbe necessario “programmare” l’arrivo dei migranti e permettere loro di raggiungere l’Italia in modo regolare, favorendo anche l’integrazione lavorativa e sociale.