Il governo Conte 2 è giunto al capolinea. Il premier salirà al Quirinale per rimettere il proprio mandato e provare ad ottenere un nuovo incarico per un governo con un appoggio più ampio. Si aprirà così formalmente una crisi innescata dall’uscita di Italia viva e che finora Conte era riuscito a contenere con un doppio voto di fiducia in Parlamento. Sino all’ultimo Conte ha cercato una strada per una crisi pilotata, ma non sarà così: i primi che ieri hanno fatto un muro sono stati i Cinque stelle, un attimo dopo che le agenzie hanno battuto la decisione del premier, che andrà a dimettersi senza avere la certezza di avere in cambio un Conte ter. Si apriranno le consultazioni, che saranno molto veloci, come da intenzioni di Sergio Mattarella, poi si vedrà.
Il Conte 2, il sessantesimo esecutivo della storia della Repubblica, il secondo dall’inizio della XVII legislatura, nasce il 5 settembre del 2019. Il 9 settembre 2019 con 343 voti favorevoli, 263 contrari e 3 astenuti, il governo ottiene la fiducia alla Camera e il giorno successivo, con 169 voti favorevoli, 133 contrari e 5 astenuti questa fiducia viene confermata dal Senato. Poche ore dopo il voto di fiducia, Matteo Renzi esce dal Pd e fonda Italia viva. I suoi gruppi, soprattutto al Senato, sono determinanti per la maggioranza.
Le prime sfida che deve affrontare il governo sono quelle del salvataggio degli impianti ex Ilva, dopo il passo indietro di ArcelorMittal e la crisi libica. Il governo deve anche approvare la legge di Bilancio e deve fare i conti con le finanze dello Stato.
Dal governo giallo-verde, con forze di maggioranza ostili alle istituzioni comunitarie, si passa ad un esecutivo europeista che, anche grazie alla nomina di Paolo Gentiloni a commissario per gli Affari economici e con Enzo Amendola responsabile delle Politiche Ue, si dimostra capace di stare ai tavoli europei in maniera pragmatica.
Capacità che è stata confermata nella lunga trattativa per gli aiuti europei nel 2020 che passerà alla storia per la pandemia da Covid. A inizio anno arrivano le prime notizie sul Covid-19 provenienti da Wuhan a il 30 gennaio i primi due casi di coronavirus – due cittadini cinesi a Roma – vengono individuati e isolati. Il giorno successivo il Consiglio dei ministri decreta lo stato di emergenza sanitario nazionale della durata di sei mesi. L’8 marzo viene istituita una prima zona rossa in Lombardia, ma il giorno successivo la zona rossa viene estesa a tutto il territorio nazionale. Il 9 marzo viene emanato il decreto “Io resto a casa” che prevede 40 giorni di lockdown.
È l’inizio del lockdown e dei Dpcm. I decreti del presidente del Consiglio diventano lo strumento normativo principe per fronteggiare l’epidemia, tanto da diventare anche il bersaglio degli attacchi dell’opposizione che rivendica un ruolo attivo del Parlamento. Il governo vara anche il decreto “Cura Italia” che stanzia 25 miliardi. Segue il “decreto Liquidità” che si propone di attivare 400 miliardi destinati alle imprese per prestiti coperti da garanzia statale.
Il 4 maggio, davanti a una curva dei contagi che comincia a scendere, il governo dà il via libera alla riapertura graduale di alcune attività produttive. Con il “decreto Rilancio”, una maxi manovra da 55 miliardi, il governo intende dare una spinta alla ripresa economica. Il 3 giugno Conte vara formalmente la Fase 3, quella che dovrebbe segnare la ripartenza e il rilancio economico del Paese. Subito dopo Conte vara una task force guidata dal manager Vittorio Colao per varare un programma di rilancio economico. Contemporaneamente annuncia gli Stati Generali dell’Economia per mettere a punto un Piano di ripartenza nazionale. Il 21 luglio 2020, dopo una lunga e difficile trattativa, i leader europei hanno approvato il Next generation Eu. Conte riesce a portare a casa una fetta consistente dei 750 miliardi, ovvero 81 miliardi di sussidi a fondo perduto e 127 miliardi di prestiti.
Ed è proprio sul Recovery plan, il piano nazionale di riforme che l’Italia dovrà presentare a Bruxelles per ottenere gli aiuti anti-crisi, che il governo comincia a vacillare. Italia viva di Matteo Renzi comincia a mettere in discussione i progetti e la governance che li dovrebbe gestire. Alla fine ritira le due ministre di Iv, Elena Bonetti e Teresa Bellanova, dal governo e apre la crisi di governo.